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la bisaccia
Il regista
 
     
HEIMAT

Un film in 13 episodi

di Edgar Reitz

 

Edgar Reitz

- La letteratura è sempre stata la mia fonte di ispirazione più grande, più che il cinema. Ho sempre tratto delle idee, degli impulsi dalla storia della letteratura, anche perché nel cinema il romanzo è una dimensione molto più legata ad uno schema drammatico riduttivo rispetto a quello che permette la letteratura. Il cinema è povero di opere che sono capaci di raccontare un universo narrativo. Uno degli scrittori che mi ha ispirato maggiormente è stato Marcel Proust, che tratta un tema molto filmico, la ricerca del tempo perduto. Trovo che l'arte cinematografica sia uno strumento perfetto per ritrovare il tempo perduto.

- Con il cinema, comunque, comincio a comprendere il senso della mia vita e della vita degli altri. Lo trovo capace di creare una seconda vita. Se non ci fosse il cinema, non potrei capire la mia vita, le circostanze della mia vita... non ho una comprensione diretta, comprendo solo attraverso il cinema.

- Nel nostro cinema d'autore l'interesse per la metafisica deve necessariamente venir fuori specie quando si dispone di tanto materiale: creiamo personaggi che nascono, cercano la felicità e alla fine muoiono. A questo punto sorge spontanea la domanda se siano veramente morti, se morire significa aver cessato di essere interessanti, di avere una storia, di essere "raccontabili". La mia conclusione è stata no. A questo punto ho dovuto abbandonare l'ambito del realismo, delle immagini realistiche. Ho così tradotto visivamente la credenza contadina che i morti continuano a vivere tra noi.

- Il neorealismo italiano del dopoguerra ha rappresentato, a mio avviso, la più grande stagione del cinema europeo. Le opere di De Sica, Rossellini e Visconti sono insuperabili per bellezza e adesione alla realtà. Veramente è stato il momento più importante del cinema europeo.

- Sappiamo che l’Europa è qualcosa di molto diverso. Così difficile e complessa, perché ci sono molte differenze nello stile di vita storico e sociale. Ma spero che in Europa avremo la fortuna di cogliere con la nostra testa le cose speciali, locali. Solo così possiamo capire gli altri. È un fatto dialettico, per capire gli altri bisogna capire se stessi. “Cinema e globalizzazione”, per esempio è un’espressione economica, non è un’idea culturale. È solo economica. La cultura vive propriamente nelle circostanze personali. La cultura e la persona sono due realtà che non si possono separare. La cultura è sempre personale, specialmente ai giorni nostri in cui la vita è diventata più individuale che in passato. Non ci sono più organizzazioni e gruppi che diano regole comuni, siamo tutti soli. E questo contraddice l’ideale economico globale.

- Certamente. Io ho conosciuto tanti musicisti che negli anni '60 avevano tanti sogni di gloria e che poi sono finiti a dirigere una piccola orchestra, rinunciando alla propria creatività in funzione di una rappresentazione dei classici. La rivalutazione dell'arte millenaria è una magra consolazione per un presente che non offre interessanti possibilità di innovazione.

- Non ho alcuna voglia di lasciarmi attrarre dalle proposte dell'industria, solo per il suono la tecnica digitale ha enormemente migliorato il prodotto.

- Il fenomeno dominante di quest’epoca è senz'altro la globalizzazione, che ha modificato il capitale, il lavoro, la nostra stessa vita. In questo contesto, il paesaggio assume un nuovo significato, una nuova connotazione, perché è una delle poche cose non riducibili ai processi globali. Lo sguardo sul paesaggio diventa allora uno specchio dell’anima, perché è l’anima stessa ad opporsi alla globalizzazione.

- «Ritengo sia una bugia se ci viene detto che il tempo è una corrente regolare in cui noi tutti e tutte le cose uniformemente confluiamo. Il tempo che misuriamo con gli orologi, che registriamo nei calendari, che definiamo con i metri di pellicola non esiste. Ogni essere vivente vive in un proprio tempo e questo tempo non scorre in modo continuo» «È sempre un’esperienza sbalorditiva accorgersi che il tempo reale, il tempo della vita e quello del cinema sono cose completamente diverse. Ci sono solo rari momenti in cui il tempo reale può essere trasferito immediatamente nel tempo del cinema. […] nessun filo d’erba si muove così lentamente come dovrebbe accadere quando qualcuno osserva i movimenti di un filo d’erba e si ricorda della propria infanzia. Non si troveranno mai nella realtà dimensioni temporali che corrispondano al tempo narrativo interiore; occorrerà sempre modificare il tempo e per questo la ripartizione di una scena in piani e il montaggio cinematografico che ne consegue non sono altro che operazioni per manipolare il tempo».

- Bisogna resistere. Bisogna! E bisogna trovare un’altra idea di ritmo del tempo. È là che bisogna cercare. Occorre riscoprire la lentezza.